martedì 22 giugno 2004

Boadicea, la protagonista del prossimo film di Mel Gibson.

Dopo "La Passione", il nuovo progetto in cui si cimenterà Mel Gibson, alias William Wallace in "Braveheart", sarà un film dal titolo "Warrior" (=guerriero), la cui protagonista sarà Boadicea, la regina degli Iceni, famosa per aver condotto il suo popolo tra il 61 e il 63 d.c. in una gloriosa ma sanguinosa battaglia contro i Romani, che terminò con il suicidio della regina per non cadere in mano nemica. E il film parlerà di questa donna-guerriera che unì le tribù celtiche contro le legioni romane attorno al 60 d.c. in una lotta per l'indipendenza e per vendicare l'assassinio del marito, prima di soccombere di fronte alla preponderante forza nemica.
Nella pellicola, non si sa quale attenzione verrà riservata alla filologicità, che di solito viene un po' messa da parte per la spettacolarità: infatti si mormora già che la storia affonderà nel sangue, passando dallo stupro delle figlie della regina a opera dei soldati romani all'abitudine attribuita alla donna di tagliare con la spada il seno delle donne nemiche. Già in Gran Bretagna gli storici sono in allarme: temono che Gibson distorga la realtà storica, presentando Boadicea come una donna del popolo e una fiera oppositrice del giogo di Roma, quando era invece più probabilmente un membro dell'èlite aristocratica celtica, pienamente romanizzata, prima di iniziare la sua ribellione.
Ma chi era Boadicea? È esistita veramente o è, come alcuni sostengono, frutto della fantasia degli storici romani?
Jeremy Hill, curatore degli artefatti dell'età del ferro al British Museum, dice per esempio che la nostra conoscenza di Boadicea si limita a 40 o 50 righe in latino da tre fonti differenti, una delle quali è lo storico romano Tacito, che scrissero venti o trent'anni dopo i fatti. Da questi vaghi riferimenti, spiega il professor Hill, risulterebbe che lei non era affatto una contadina, ma apparteneva alle classi più abbienti, vestiva secondo i costumi romani, amava la vita raffinata e aveva frequenti contatti con l'invasore.
Secondo John Davies, un altro storico esperto del periodo, curatore capo del Norfolk Museum, Boadicea potrebbe perfino essere una “invenzione” dei romani, che avevano l'abitudine di “personificare” le provincie sconfitte con immagini e nomi sulle loro monete.
Comunque sia, avremo del tempo per parlare della storicità del personaggio, visto che sarà la protagonista di ben quattro film: quello di Gibson, diretto da Gavin O'Connor; quello della Paramount, “Warrior Queen”; quello della Steven Spielberg Dreamworks, “Queen Fury”; quello prodotto da Laura Bickford, già produttrice di “Traffic”, intitolato “My Country”.
Agli spettatori alla fine spetterà non solo giudicare quale di essi sarà il migliore, vedendo gli incassi ai botteghini, ma anche giudicare la filologicità e attendibilità del personaggio. E per giudicarla, bisogna documentarsi, conoscere la storia e la laggenda. Allo scopo, riporto le parole di Tacito sulla rivolta Icena del 61 d.c.

Tacito, Annali (Ab Excessu Divi Augusti Libri), XIV, 29-39
29. [61 d.c.] Nell'anno del consolato di Cessenio Peto e Petronio Turpiliano, abbiamo subito una pesante sconfitta in Britannia, dove, come già detto (vedi XII, 40), il legato Aulo Didio si era limitato a mantenere le posizioni acquisite, e dove la morte aveva impedito al successore Veranio, dopo modeste incursioni nel territorio dei Siluri, di proseguire le operazioni militari.Aveva egli acquistato, finché visse, grande fama di austero senso d'indipendenza, ma lasciò chiaramente trasparire, nelle ultime parole del testamento, quale ambizioso cortigiano fosse: infatti, dopo una serie di espressioni adulatorie verso Nerone, aggiunse che egli avrebbe potuto consegnare, sottomessa, la provincia, se fosse vissuto ancora due anni, Governava comunque al momento la Britannia Svetonio Paolino, emulo di Corbulone per capacità mïlïtarï e, stando alle voci del popolo, che si affretta a trovare per tutti un rivale, desideroso di eguagliare, piegando i ribelli, la gloria dei conquistatore dell’Armenia. Si prepara dunque ad invadere l'isola di Mona (=Anglesey), forte per la sua popolazione e rifugio di profughi, e costruisce navi a chiglia piatta contro i fondali bassi e insidiosi. Trasportò così la fanteria; dietro passarono i cavalieri a guado o spingendo a nuoto i cavalli, dove le onde si levavano più alte.
30. Li aspettava sulla spiaggia un ben strano schieramento nemico, denso d'uomini e d'armi e percorso da donne, in vesti nere, a mo’ di Furie, impugnanti fiaccole; attorno i Druidi, levate le mani al cielo, lanciavano maledizioni terribili: la novità della scena impressionò i soldati, per cui offrivano, come paralizzati, ai colpi nemici il corpo immobile. Poi, stimolati dal comandante e incitandosi a vicenda a non mostrare paura di fronte a una banda di donne e di invasati, avanzano, abbattono chi li fronteggia e 1i travolgono nei loro stessi fuochi. Fu imposto, in seguito, ai vinti un presidio e furono abbattuti i boschi consacrati a culti barbarici: era infatti un loro atto rituale bagnare gli altari del sangue dei prigionieri e consultare gli dei con viscere umane. L'operazione era in pieno svolgimento, quando Svetonio viene informato della ribellione della provincia.
31. Il re degli Iceni (in XII, 31, in cui si parla di avvenimenti del 50 d.c., sono descritti come “popolazione forte e non indebolita da scontri precedenti, perchè avevano stretta, senza subirla, alleanza con noi”. La bataglia di quell'anno fu per loro una strage. Erano insediati nell'attuale contea Norfolk.) Prasutago, celebre per la sua lunga prosperità, aveva lasciato erede Cesare e le due figlie, pensando, con tale gesto, di preservare il regno e la sua casa da ogni offesa. Accadde invece l'opposto: il regno fu depredato dai centurioni e la casa dai servi, quasi fossero preda di guerra. Per cominciare, sua moglie Boudicca venne fustigata e le figlie violentate; e i notabili Iceni, come se i Romani avessero ricevuta la regïone in dono, vengono spogliati dei loro aviti possedimenti, e i parenti del re erano tenuti in condizione di schiavi. Per questi oltraggi e nel timore di peggiori, poiché s'eran trovati a essere una sorta di provincia, afferrano le armi, dopo aver incitato alla rivolta i Trinovanti (insediati a sud degli Iceni, nelle attuali contee di Suffolk ed Essex, con capitale Camulodunum, oggi Colchester) e quant'altri, non ancora piegati alla schiavitù, avevano giurato, in intese segrete, di riconquistare la libertà. L'odio più cupo era contro i veterani, perché, inviati da poco come coloni a Camuloduno, li cacciavano dalle case, li espropriavano dei campi, chiamandoli “prigionieri” e “schiavi”, spalleggiati in questo loro arbitrio dai soldati, che vedevano simile il proprio destino e speravano altrettanta impunità. Oltre a ciò, il tempio innalzato al divo Claudio era lì sotto i loro occhi come la cittadella di una dominazione perenne, e i sacerdoti scelti per il culto dovevano, con quel pretesto profondervi tutte le loro sostanze. Né d’altra parte sembrava difficile abbattere una colonia non protetta da nessun tipo di difesa, perché ï nostri generali, pensando più al bello che alla sicurezza, s'erano dimostrati assai poco previdenti.
32. lntanto, senza evidente motivo, crollò, a Camuloduno, la statua della Vittoria, rovesciandosi indietro, quasi arretrasse di fronte ai nemici. E donne invasate da furore profeticoannunciarono imminente la rovïna; grida straniere s'erano udite nella curia romana locale; il teatro aveva echeggiato di ululati e s'era vista nel Tamigi l'immagine della colonia distrutta. La tinta sanguïgna assunta dall'Oceano e quelli sembravano, al ritirarsï della marea, corpi umani erano interpretati come segni di speranza dai Britanni e motivo di apprensione per í veterani. Ma, poiché Svetonio era lontano, chiesero aiuto al procuratore Cato Deciano. E questi mandò non più di duecento uomini, con armamento peraltro insufficiente; eppure in città il presidio militare era modesto. Contavano sulla protezione del tempio e, intralciati da quanti, segretamente complici della rivolta, influivano negativamente sulle loro decisioni, non avevano costruito né una fossa ne un trinceramento e non avevano allontanato vecchi e donne, per lasciare la difesa ai soli giovani: incauti come se fossero in mezzo a un territorio pacificato, si trovarono circondati da una massa di barbari. Tutto il resto subì ai primo assalto devastazione e incendi: il tempio, in cui i soldati si erano ammassati, fu assediato per due giorni ed espugnato. Vincitori, i Britanni affrontarono Petilio Ceriale, legato della nona legione, che accorreva in aiuto: sgominarono la legione rnassacrando tutta la fanteria. Ceriale sfuggì alla strage con la cavalleria e riparò dietro le difese del campo. Impaurito dalla disfatta e dall’odio della provincia, che la sua avidità aveva spinto alla guerra, il procuratore Cato passò in Gallia.
33. Svetonio invece, aprendosi con straordinaria fermezza un varco in mezzo ai nemici, si diresse a Londinio (=Londra), non ancora insignita del titolo di colonia, ma assai nota per i grandi traffici di mercanti e di merci. Lì Svetonio fu incerto se sceglierla come base delle operazioni militari ma, constatata l'esiguità delle truppe a disposizione e il modo clamoroso con cui era stata punita la temerarietà di Petilio, decise di salvare, col sacrificio di un'unica città, l’intera provincia. Fu irremovibile dinnanzi alle scene di pianto di quanti imploravano la sua protezione e diede il segnale della partenza, accogliendo tra 1e sue file quanti volessero seguirlo; chi rimase, perché inadatto alla guerra o per sesso o per età o perché trattenuto dall'attaccamento al luogo, fu sterminato dal nemico. Analoga strage subì il municipio di Verulamio (Vicino a St. Albans, nella contea di Hereford), perché i barbari, entusiasti di fronte alla preda, ma schivi alle fatiche, evitando le piazzeforti e i presidi armati, si gettavano sui depositi militari, dove ricco è il bottino e malagevole la difesa. Caddero, ed è assodato, circa settantamila tra cittadini e alleati nei luoghi che ho sopra ricordato. I barbari infatti non facevano prigionieri, per venderli schiavi o per qualche altro commercio di guerra, ma si affrettavano in una frenesia di massacri e impiccagioni, di roghi e crocifissioni, quasi in attesa di dovere pagare tutto, ma prendendosi intanto una anticipata vendetta.
34. Disponeva ormai Svetonio della quattordicesima legione coi veterani richiamati della ventesima e gli ausiliari delle più vicine guarnigioni, per un totale di circa diecimila armati, quando si prepara, senza attendere oltre, ad affrontarli in campo aperto. Sceglie un luogo dall'accesso angusto, una gola chiusa alle spalle da uno selva dopo aver accertato la presenza dei nemici solo di fronte, dove s'apriva una piana libera dal rischio di agguati. Si dispongono i legionari in file serrate, con intorno la fanteria leggera e ï cavalieri concentrati alle ali. Le truppe dei Britannï invece si muovevano baldanzose, in una mescolanza di orde appiedate e bande di cavalieri, formanti una massa mai vista prima, spavaldi al punto da portare con sé le spose, come testimoni della loro vittoria, collocate sui carri disposti lungo il margine esterno della pianura.
35. Boudicca, tenendo su un carro, avanti a sé, le figlie, passava in rassegna le varie tribù: non era insolito - ricordava - per i Britanni combattere sotto la guida di una donna; ma lei ora non intendeva, quale discendente da nobili antenati, rifarsi della perdita del regno e delle ricchezze, bensì, come una donna qualunque, vendicare la perdita della libertà, riscattare il proprio corpo fustigato e il pudore violato delle figlïe. Le voglie dei Romani si erano spinte così avanti da non lasciare inviolati i corpi, senza riguardo per la vecchiaia o la verginità. Ma c’erano adesso i numi della giusta vendetta: caduta era la legione che aveva osato dare battaglia, gli altri stavano nascosti negli accampamentï e spiavano il modo di fuggire. E questi Romani, che non avrebbero sopportato il fragore e le grida di tante migliaia di uominï, come potevano reggere all'assalto e alla mischia? Se valutavano il numero degli uomini in campo e le ragioni della guerra, non c'erano dubbi: dovevano, in quella battaglia, o vincere o morire. Questa era la scelta compiuta da una donna: gli uomini tenessero pure alla vita e fossero schiavi.
36. Neppure Svetonio taceva in quell'ora decisiva. Pur fiducioso nel valore dei suoi, alternava tuttavia incitamenti e preghiere a non lasciarsi suggestionare da quel frastuono dei barbari e da minacce senza efficacia: si scorgevano infatti più donne che combattenti. Inadatti alla guerra e male armati, non potevano non cedere appena avessero, dopo tante sconfitte subìte, riconosciuto i1 ferro e il valore dei vincitori. Anche fra molte legioni sono sempre pochi quanti segnano l'esito di una battaglia; e tornerà a loro gloria - diceva - l'aver conquistato, in pochi, la fama di un intero esercito. Dovevano solo rimanere compatti e poi, dopo il lancio dei giavellotti, continuare, con scudo e spada, ad abbattere e massacrare il nemico, senza pensare alla preda: a vittoria ottenuta, tutto sarebbe finito nelle loro mani. Un grande entusiasmo seguì le parole del comandante: e, con tale carica, i vecchi soldati, forti dell'esperienza di molte battaglie, si preparavano a lanciare i dardi, tanto che Svetonio poté dare il segnale d'attacco ormai certo del successo.
37. In un primo momento la legione non si mosse, tenendosi nella gola come in un riparo, ma poi, al farsi sotto dei nemici, scaricati tutti i colpi su di loro con lanci precisi, si buttò avanti a forma di cuneo. Altrettanto violenta la carica degli ausiliari; la cavalleria travolse, a lancia in resta, chi si parava davanti a opporre resistenza. Gli altri volsero le spalle in una fuga difficoltosa, perché i carri disposti attorno avevano sbarrato ogni via di uscita. E i soldati coinvolgevano nel massacro anche le donne, mentre, trafitti dai dardi, anche gli animali contribuivano a far grande il mucchio di cadaveri. La gloria di quel giorno fu splendida, all'altezza delle vittorie di un tempo: alcuni storici parlano infatti di poco meno di ottantamila Britanni uccisi contro circa quattrocento dei nostri caduti e un numero poco superiore di feriti. Boudicca pose fine alla vita col veleno e il prefetto del campo della seconda legione, Penio Postumo, appreso il successo della quattordicesima e della ventesima poiché, violando la disciplina militare, non aveva eseguito gli ordini del comandante e aveva, così, defraudato la sua legione di una simile gloria, si trafisse con la spada.
38. L'esercito fu poi radunato al completo e tenuto sotto le tende, per concludere 1e operazioni militari. Cesare aumentò il contingente con l'invio di duemila legionari dalla Germania, di otto coorti di ausiliari e di mille cavalieri: col loro arrivo furono rimpiazzati i vuoti della nona legione. Coorti e squadroni alleati vennero sistemati nel nuovo campo invernale, e le tribù dimostratesi prima indecise oppure ostili furono messe a ferro e a fuoco. Ma nulla quanto la fame affliggeva quelle genti, che non s'erano preoccupate di fare la semina, poiché gli uomini d'ogni età s'eran dati alla guerra, contando sui nostri rifornimenti. Tuttavia quei popoli, già tanto fieri, ancor più recalcitravano ai pensieri di pace, perché Giulio Classiciano, speditovi come sostituto di Cato e in disaccordo con Svetonio, metteva a repentaglio, per questioni personali, il bene comune, spargendo la voce che era meglio per i Britanni attendere il nuovo legato, che avrebbe saputo trattare con clemenza, senza aggressività di nemico e arroganza di vincitore chi si fosse arreso. Faceva intanto sapere a Roma che non si aspettassero una conclusione degli scontri, a meno che non venisse sostituito Svetonio, alla cui pessima gestione attribuiva ï rovesci, mentre i successi al puro caso.
39. A ispezionare la situazione in Britannia fu allora mandato il liberto Policlito, puntando sulla cui autorità Nerone contava non solo di comporre i dissensi tra il legato e il procuratore, ma anche di indurre alla pace gli spiriti ribelli dei barbari. E Policlito, col suo seguito sterminato, riuscì, non solo a gravare sull'Italia e la Gallia ma, superato l'Oceano, a intimidire, con la sua solenne comparsa, anche í nostri soldati. Ne risero però i nemici, presso i quali era ancora vivo il senso della libertà e che non avevano ancora conosciuto lo strapotere dei liberti; e si stupivano che un comandante e un esercito, che avevano saputo concludere una guerra così dura, obbedissero a degli schiavi. Tuttavia, nel rapporto all'imperatore, Svetonio fu presentato in una luce abbastanza favorevole e venne mantenuto a capo delle operazioni; ma quando perse poche navi alla fonda col loro equipaggio, come se ciò significasse che ancora durava la guerra, ricevette l'ordine di passare il comando a Petronio Turpiliano, che aveva già concluso il mandato di console. Costui non provocò il nemico e non ne fu provocato; e a una deplorevole inazione conferì il nome di pace.

Un resoconto abbastanza di parte, ma non troppo. Per approfondire ulteriormente, segnalo alcuni link.

http://ask.yahoo.com, in inglese
Una breve biografia, in inglese
Dei versi su Boadicea, in inglese
http://www.whoosh.org/whoosh.html/, in inglese ma veramente completo

Celtic Myths And Legends, in inglese

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